Italia – Francia, gli attori principali nella legislazione sul dovere di diligenza aziendale all’interno dell’Unione Europea.

Italia e Francia svolgono un ruolo cruciale nell’adozione della direttiva sul dovere di diligenza delle imprese in materia di sostenibilità. I loro voti saranno determinanti poiché le loro riserve e il loro peso nel Consiglio possono influenzare l’esito di questo progetto di legge. Questo voto è considerato l’ultima opportunità per adottare il testo prima della fine della legislatura attuale. Il progetto rivisto è esaminato in Francia dal Primo Ministro Gabriel Attal e dal Presidente Emmanuel Macron, una decisione era attesa entro giovedì 7 marzo. 

I diplomatici belgi hanno diffuso una versione rivista della direttiva dopo che 14 paesi avevano bloccato i progressi, spingendo il Belgio e Lara Wolters, relatrice al Parlamento su questo dossier, a “sforbiciare il testo” per sperare in un’approvazione. Una fonte coinvolta nei negoziati ha dichiarato che si tratta ormai essenzialmente di una questione politica. Tra i principali emendamenti, vi è una riduzione significativa del numero di imprese interessate e un rinvio dell’attuazione da tre a cinque anni, a seconda delle dimensioni delle imprese. Questi aggiustamenti mirano a rispondere alle esigenze dei negoziatori francesi. In Italia, la situazione è più complessa, con una divisione all’interno dell’industria: Confindustria, principale associazione delle imprese, chiede al governo di astenersi, mentre molte altre associazioni di settore sostengono la direttiva. 

Sono stati inoltre eliminati gli incentivi finanziari alla remunerazione dei dirigenti per l’attuazione degli obiettivi climatici, e gli Stati membri possono ora decidere chi può intraprendere azioni collettive contro le imprese non conformi, come le ONG. Sabrina Pignedoli, eurodeputata italiana del Movimento 5 Stelle, ha sottolineato che, anche se edulcorata, questa direttiva rappresenta un passo cruciale per rendere le imprese responsabili degli abusi nelle loro catene di produzione. Ha invitato il governo italiano a sostenere il testo durante il voto dell’8 marzo, smettendo così di proteggere gli interessi consolidati. 

Gli ultimi emendamenti hanno ridotto così tanto la portata della legge che non rimane realmente margine per ulteriori concessioni. Il nuovo testo limita la sua applicazione alle imprese con 1.000 dipendenti o più e con un fatturato annuo di 300 milioni di euro o più. Inoltre, le imprese saranno responsabili solo per le loro operazioni di distribuzione, trasporto e stoccaggio a valle, escludendo le fasi di eliminazione dei prodotti e le attività dei loro “partner commerciali indiretti”. Nonostante queste concessioni, potrebbe essere difficile per gli Stati membri giustificare una continua opposizione alla legge e per le grandi imprese sostenere di non avere le risorse per applicare una diligenza di base. Una fonte di una ONG con sede a Bruxelles ha indicato che l’Italia non ha formulato richieste specifiche sul testo, limitandosi a vaghi riferimenti alla legge come un onere per l’economia, nonostante l’esclusione delle PMI dalla legislazione. Confindustria ha rifiutato di commentare il compromesso belga. 

Nonostante le numerose concessioni fatte, le revisioni della direttiva mirano a conciliare le esigenze dei diversi Stati membri pur mantenendo l’obiettivo principale: obbligare le grandi imprese a monitorare e prevenire gli abusi in materia di diritti umani, norme ambientali e condizioni di lavoro lungo tutta la loro catena del valore. Il vice primo ministro belga David Clarinval rimane ottimista sulla possibilità di un accordo, nonostante le numerose concessioni fatte. Ad oggi, né Parigi né Roma hanno preso una posizione definitiva sugli emendamenti proposti dalla presidenza belga del Consiglio, volti a rispondere alle “preoccupazioni” sollevate dagli Stati membri la settimana scorsa. 

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